Continua il nostro viaggio tra le Streghe legate alla Necromanzia, con la nostra ultima tappa (almeno per quest'anno).

Dopo la  Strega di Endor, e la spaventosa Erichto, e la nordica Thorbjorg, torniamo in terra italica, a Roma per l'esettezza, per parlare delle Streghe descritte dal poeta latino Orazio nei suoi Epodi e nelle Satire, in particolare di Canidia e delle sue compagne.

Entrambe le opere furono completate intorno al 30 a.C., durante il regno dell'imperatore Cesare Augusto. Gli studiosi moderni hanno ipotizzato che Augusto, che stava progettando di proclamare severe leggi contro la Stregoneria, abbia richiesto l'aiuto dei due poeti regnanti dell'epoca, Orazio e Virgilio, per infangare e iniziare una specie di propaganda denigratoria nei confronti delle Streghe e della Stregoneria. Sebbene si sappia poco di queste leggi contro la magia, esse furono decisamente influenti per circa un paio di secoli mettendo in seria difficoltà coloro che praticavano la Stregoneria e dimostrando così che le persecuzioni alle Streghe erano già iniziato molto prima che il Cristianesimo arrivasse al potere.

La più famosa e la più misteriosa strega romana, così come la descrive Orazio negli Epodi e nelle Satire, era Canidia. Si è discusso molto sulla sua figura, sia se Orazio la conoscesse o meno. Pare fosse una profumiera di Napoli che si dilettava nelle arti magiche; il suo nome era Gratidia che, il poeta latino, mutò in Canidia.

Le Streghe di Orazio appaiono come appena uscite degli Inferi: sono vestite con stracci neri e hanno capelli selvaggi e incolti; i capelli di Canidia sono intrecciati con piccole vipere, mentre Sàgana indossa una parrucca che ha le setole come quelle di un riccio di mare o di un cinghiale. Sono estremamente pallide, i loro denti sono blu e le loro unghie sono consumate e pezzate dallo scavare nella terra a mani nude. Canidia, tuttavia, conserva un'unghia del pollice lunga, presumibilmente per fungere da vanga.

La sua figura compare nella Satira VIII, nel Liber I, dei SermonesL’episodio narrato da Orazio è allo stesso tempo terribile ma con un finale satirico ed esilarante.

Canidia è insieme a Sàgana e Veia sono nei giardini di Mecenate sull’Esquilino: la strega Canidia, scalza, vestita succintamente di nero, con in testa la chioma scompigliata di serpenti attorcigliati, ululante insieme alla vecchia Sàgana, ambedue pallide mentre scavano febbrilmente il suolo con le unghie e sbranano con i denti un’ agnella nera, il cui sangue sgocciola in una fossa dove poter evocare gli spiriti maligni e ottenerne dei responsi.

In mano, le due Streghe, hanno due statuette, una grande, di lana, l’altra di cera, quest’ultima come rassegnata alla sua prossima morte ad opera di quella di lana.

Nel frattempo, le Streghe sotterrano la barba di un lupo e i denti di una serpe maculata nella fossa irrorata dal sangue dell’agnella. Intanto tra le alte fiamme di un albero di fico muore la statuetta di cera a compiere il sortilegio teso a riacquistare gli amanti perduti.

Un grande e inaspettato peto dell’albero di fico trasformato nel Dio Priapo, che assiste inorridito alla scena, manda via a gambe levate  Canidia, che mentre scappa, perde la dentiera mentre Sàgana perde la sua parrucca insieme alle erbe e le radici che avevano nel frattempo  raccolto.
 
Tutta la cattiveria di Canidia e il suo rapporto con la Necromanzia, appare invece nell’Epodo 5 di Orazio.

Qui Canidia, sempre in compagnia di Sàgana, Veia e Folia hanno rapito un bambino di una famiglia benestante con l’intento di sacrificarlo per procurarsi parti del suo corpo per un filtro d'amore per riconquistare gli amanti perduti.

Le Streghe seppelliscono vivo il fanciullo fino al mento, lasciando fuori solo la testa e mettendogli davanti piatti ricolmi di cibo più volte al giorno, che il bambino non può mangiare. L’intento è quello di far morire di fame il fanciullino, facendo accrescere il suo desiderio di cibo, che veniva così trasferito e impresso tramite la magia simpatica al suo fegato e al midollo osseo, che le Streghe avrebbero poi usato nei loro incantesimi e filtri.

Mentre il bambino inizia a lentamente a morire di stenti, nel calderone bollono caprifichi divelti dai sepolcri, uova di rospo viscido sporche di sangue, penne di civetta, erbe che vengono da Iolco (Grecia) o dall’Iberia, patria di veleni, e ossa strappate ai denti di una cagna.

A nulla servono le suppliche del bambino che chiede gli venga risparmiata la vita, fin quando si rende conto che le Streghe non avrebbero mostrato alcuna pietà. Il fanciullo allora pronuncia con rabbia una tremenda maledizione dichiarando che il suo fantasma, accompagnato dalle Furie, le avrebbe attaccate di notte con unghie ricurve e si sarebbe seduto sui loro petti, privandole del sonno e riempiendole di terrore. Dichiarò che le Streghe sarebbero state lapidate a morte da una folla inferocita, e che lupi e uccelli avrebbero sparso le loro ossa non seppellite. Nonostante la gravità e il potere di una maledizione lanciata dal morente, le Streghe compirono ugualmente il loro atto malvagio.

LE FONTI CLASSICHE

Orazio, Sermones (Liber I,VIII)
 
Nel Liber I dei Sermones, troviamo Canidia insieme a Sàgana e Veia, nei giardini di Mecenate sull’Esquilino, dove compiono delle azioni deplorevoli. In questo passo si dice che le due aberranti figure si stanno preparando ad un atto a scopo divinatorio.

Con questi occhi io ho visto Canidia
con la veste nera e la cinta in vita,
piedi neri, capelli scarmigliati,
aggirarsi insieme a Sàgana e urlare nel vento:
il pallore le rendeva orribili.
Eccole scavare la terra con le unghie,
dilaniare a morsi un’agnella nera:
il sangue fu raccolto in una fossa
per evocare dagli abissi gli spiriti dei Mani
per ottenere responsi.

Orazio, Epodi  (5)

Negli Epodi, sempre a carattere satirico, Orazio riporta invece un componimento tutto per Canidia, intitolato “Le malìe di Canidia” nel quale menziona un rituale per una maledizione elencando gli ingredienti necessari per il filtro che la strega si appresta a cucinare:

[…] tra i capelli arruffati
ha nodi guizzanti di vipere,
ordina che sulle fiamme della Còlchide
siano arsi cipressi funebri
caprifichi divelti dai sepolcri
uova di rospo viscido
sporche di sangue ,penne di civetta,
erbe che vengono da Iolco o dall’Iberia
patria dei veleni e ossa
strappate dai denti di una cagna.

Nel frattempo anche Sàgana e Veia si danno da fare con le proprie nefandezze stregonesche e allestiscono il teatro del sacrificio di un fanciullo necessario per preparare un filtro d’amore:

Sàgana intanto, discinta e coi capelli
irti come un riccio di mare
o cinghiale in fuga, sparge in tutta casa
l’acqua del Lago Averno.
Veia, non distolta da alcun rimorso,
scava colpi di zappa la terra
gemendo per la fatica:
qui seppelliranno il fanciullo
con il solo capo che affiora come chi nuota
che fuori dall’acqua ha solo il mento
perché davanti a cibi sempre nuovi e freschi
muoia lentamente,
con il midollo estratto e il fegato rinsecchito
si farà un filtro d’amore,
quando le sue pupille sbarrate
sul cibo vietato si saranno spente.

Le due Streghe avevano anche “una ospite straniera”, Folia la riminese, che è menzionata solo per la particolarità di “amare le donne come un uomo” e per avere il potere di “prendere dal cielo la luna e le stelle (o la loro luce)”.

Tutte e quattro si preparano a maledire “le case ostili”, ma Canidia si lamenta del fatto che in passato la sua opera non sia stata efficace come aveva sperato, che il suo veleno non sia stato abbastanza “produttivo” e se ne rammarica (“perché non hanno effetto i veleni spietati della barbara Medea?”).

Ci deve essere stata una strega rivale ancora più potente che ha reso vani gli sforzi fatti finora, nonostante a lei non sia sfuggito mai niente. Deve essere stato senza dubbio così, il tanto odiato Varo, “quel vecchio traditore”, deve essere stato protetto da un incantesimo “di una maga, ahimè, più sapiente”.

Varo evidentemente era il bersaglio delle sue attenzioni amorose non ricambiate, che a detta di Canidia dovrà finalmente piegarsi:

Ma ora, Varo, dovrai piangere a lungo:
per effetto di un filtro eccezionale
correrai da me e a me tornerà il tuo cuore
non più attratto da cantilene Marsiche.
Filtro più forte ti preparerò,
più forte te lo mescerò, visto che mi odi
e il cielo sprofonderà nel mare
e su questo si stenderà la terra
se tu per me non arderai d’amore
come la fiamma nera del bitume

In tutto ciò le Streghe hanno ancora un ragazzino mezzo sepolto vivo con un banchetto di deliziosi cibi di fronte. Il saggio fanciullo fa notare alle Streghe che per quanto si affannino, “i filtri non possono mutare il destino degli uomini, giusto o ingiusto che sia” e lancia a sua volta una maledizione ma al loro indirizzo:

Vi maledirò e questa maledizione
nessun sacrificio potrà espiarla.
Quando, messo a morte, sarò spirato,
innanzi vi comparirò nella notte come un demone,
larva che con gli artigli vi ghermirà il volto,
perchè questo possono i morti
e, pesando sui vostri cuori inquieti,
nel terrore vi ruberò il sonno.
Nei villaggi, streghe maledette,
da ogni parte la folla vi lapiderà
e avvoltoi e lupi sull’Esquilino
dilanieranno le vostre membra insepolte:
Questo dovranno vedere i miei genitori
che, ahimè, mi sopravvivranno.

Negli Epodi ritroviamo Canidia di nuovo al componimento n.17, "Palinodia per Canidia", dove c’è un personaggio che supplica la strega e a tratti la adula, ma lei non cede e alla fine dichiara:

[…]
Io che posso animare immagini di cera,
come tu, curioso, hai visto e giù dal cielo
strappare, con i miei incantesimi, la luna,
io che posso dalle veneri resuscitare i morti
e preparare filtri d’amore, credi che piangerò
se le mie arti su di te non hanno effetto?

Il passo è interessante perché riporta tutte le azioni fuori dell’ordinario delle quali è capace Canidia.

Quel personaggio che supplica in modo ironico (palinodia significa ritrattare le idee appena espresse e Orazio gioca con questa strategia retorica che prevede una lode sbracciata e una subitanea presa in giro) è Orazio stesso al quale Canidia riesce a strappare una supplica affinché venga lasciato in pace.

Com’è possibile sconfiggere una Strega tanto terribile?

Orazio ci svela l’episodio in cui Canidia venne sconfitta da un dio scolpito da un abile falegname in Satire I, VIII. Un albero di fico prende la forma del dio Priapo, molto infastidito dalle orribili Streghe che infestano durante la fase di luna piena quel giardino in cui si trova. Vediamo che succede:

[…]Una  volta ero un tronco di fico, legno inutile,
quando il falegname, incerto se fare uno sgabello o un Priapo,
preferì il dio […]

[…] ma chi mi dà noia e mi affatica non sono tanto i ladri 
o le bestie che infestano questo luogo
ma quelle donne che rivoltano con filtri e incantesimi
l’animo umano: non ho modo di scacciarle,
né di impedire che, appena la luna errante mostri il bel volto,
vengano in cerca di ossa e di erbe malefiche […]

[…] come non volli assistere
senza vendetta alle parole e agli atti delle due Furie?
E così, come una vescica che scoppia schiacciata, scorreggiai
con le mie natiche di fico e le feci scappare fino in città.
A Canidia i denti, a Sàgana l’alta parrucca
caddero, con le erbe e i lacci incantati.

© L’Almanacco delle Streghe

Si ringrazia https://www.vitissapientiae.it/2021/09/11/canidia-la-strega-di-orazio/ per le fonti letteraire